2022 56 incarnazioneconcretezza1Tre parole per descrivere beato Scalabrini

Intervista a Padre Mario Toffari, Vicepostulatore per la causa di Beatificazione di Monsignor Scalabrini

Quando le ho chiesto di descrivere Scalabrini in tre parole, mi ha risposto con “incarnazione, concretezza e prospettiva d’eterno”. Perché?

L’incarnazione è un aspetto fondamentale del pensiero teologico di monsignor Scalabrini. Attraverso il mistero dell’incarnazione di Gesù nel grembo di Maria, Dio si è fatto - e in questo modo ha divinizzato - l’Uomo. Ogni uomo è dunque mio fratello, ma rappresenta al contempo la manifestazione concreta di Dio. Questa riflessione è centrale per comprendere appieno il pensiero scalabriniano.

Concretezza perché, pur essendo il beato Scalabrini un grande teologo, era molto pratico. Interveniva nel mondo dell’epoca con concretezza. “L’ottimo è nemico del bene”, soleva ricordare il beato, alludendo al fatto che spesso a cercare di raggiungere un livello di perfezione si rischia di perdere ciò che già esiste di buono. Ecco quindi la concretezza, il fatto di provare a migliorare la situazione nell’oggi invece di porsi obiettivi troppo alti in un futuro lontano.

Prospettiva d’eterno: Per il beato, la vita è da considerarsi un inizio che porta all’eterno. Non esiste, per Scalabrini, la separazione della vita terrena da quella celeste, bensì l’una è il proseguimento della seconda. Una vita che si sviluppa come vita immortale.

Papa Pio IX ha definito il vescovo Scalabrini come “Apostolo del Catechismo”. Qual è stato il ruolo di Scalabrini nell’organizzazione della formazione cattolica?

L’importanza della formazione cattolica e quindi della catechesi per Scalabrini va spiegata partendo proprio dalla riflessione che la vita cristiana non è una preparazione, ma l’inizio della vita immortale. In vita bisogna dunque iniziare ad avere anche la cultura dell’eterno. Ecco allora l’importanza della formazione catechetica, che Scalabrini ha sempre posto al centro della sua pastorale: da parroco si occupava del primo catechismo, da vescovo ha poi fondato le prime scuole di catechismo, tanto poi da organizzare il primo sinodo mondiale della catechesi a Piacenza. L’educazione cattolica deve partire da dove parte la vita cosciente.

Mons. Scalabrini, nella sua vita, si è occupato molto dei migranti. Quando, come e da dove è nato questo suo impegno?

La pastorale di Scalabrini può essere descritta come una pastorale dell’uomo. L’esperienza e la realtà umana sono infatti al centro anche delle sue riflessioni spirituali e teologiche nonché dei suoi scritti. Nel suo libretto Socialismo e l’azione del clero, il beato scrive: “io sono sempre vissuto con gli uomini e le realtà che io provo è una realtà che io ho vissuto sulla mia pelle”. Scalabrini è un uomo del suo tempo, vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando in Europa e in Italia era in corso un rapido processo di industrializzazione della società. Ha visto e toccato con mano gli aspetti negativi del mondo del lavoro: l’operaio soggetto al padrone, la disoccupazione, i lunghi orari di lavoro,… Ecco dunque che Scalabrini portò avanti, nella sua vita, alcune proposte sociali che erano all’avanguardia per il tuo tempo, come la formazione professionale, la mutua, la pensione, l’assistenza medica.

Dall’altro lato, la società industriale aveva impoverito l’agricoltura nel piacentino, tanto da indurre parte della popolazione rurale a emigrare. Incise nel suo cuore erano le scene della gente in partenza dalla stazione di Milano. Scalabrini si poneva allora la domanda, se lo sradicamento del migrante dalla sua terra implicasse anche uno sradicamento della sua fede. Questa è la riflessione che lo spinse a fondare degli organi che ancora oggi si occupano dei migranti, proprio per dire a questa gente: se dovete emigrare, la Chiesa è con voi. Si trattò di una fondazione duplice: i missionari e le missionarie per l’assistenza spirituale, l’Opera San Raffaele laica per l’assistenza materiale.

Un altro aspetto legato alla migrazione e al timore che i migranti perdessero la fede era il suo impegno per mantenere viva la cultura italiana tra gli emigrati. “Imparate l’inglese ma non dimenticate l’italiano” diceva agli emigrati italiani a Londra, “perché dimenticando l’italiano perderete anche i valori che vi ha dato la vostra cultura”.

Mi ha raccontato di alcune proposte concrete anche a livello legislativo per migliorare la condizione della classe operaia. Si può definire il vescovo Scalabrini come un uomo politico del suo tempo?

Era difficile parlare di politica nell’Italia del tempo, soprattutto per il clero. Dopo l’Unità d’Italia (1861) e ancor di più dopo la conquista di Roma (1870) da parte del Regno d’Italia, il papa si sentiva prigioniero di uno stato nemico. Nel 1868 la Santa Sede aveva perciò emanato una disposizione, la Non expedit, con cui di fatto vietava ai cattolici italiani di partecipare attivamente alla vita politica del regno. Questa disposizione fu revocata solo nel 1919.

Anche monsignor Scalabrini si attenne, per obbedienza alla Santa Sede, a questa disposizione, ma si impegnò attivamente a sostenere che la Chiesa avesse il dovere di far sentire la propria voce anche nel mondo della politica, tanto da recarsi personalmente dal papa per cercare di convincerlo. “L’uomo vive nella storia” – diceva – e quindi è chiamato ad occuparsene. In questo senso lo si può ritenere un predecessore di don Luigi Sturzo, il primo clericale ad occuparsi di politica.

L’impegno di Scalabrini era dettato dalla sua volontà di assistere i più bisognosi. Il vescovo, infatti, era – lo abbiamo visto prima – profondamente immerso nelle questioni sociali e politiche del suo tempo ed animato da uno spirito molto concreto. Pur essendo fondamentalmente di idee liberali, ripeteva che alcune istanze del socialismo – come i diritti dei lavoratori – fossero profondamente cristiane. Per le sue proposte chiare sulla politica migratoria, monsignor Scalabrini fu ricevuto anche dal presidente statunitense Franklin Delano Roosvelt.

2022 56 incarnazioneconcretezza2La congregazione scalabriniana, da lui fondata, si è occupata a lungo soprattutto dei migranti nelle Americhe, per poi aprire delle missioni in Europa appena nel secondo dopoguerra. Come mai?

Al tempo esistevano principalmente due Congregazioni che si occupavano dell’assistenza ai migranti: gli Scalabriniani (guidati da mons. Scalabrini) e i Bonomelliani (guidati dal vescovo di Cremona Geremia Bonomelli). I due vescovi erano amici ed in continuo contatto, tanto da dividersi l’ambito territoriale: i Bonomelliani si occupavano del territorio europeo mentre gli Scalabriniani delle Americhe.

Tra le due organizzazioni esisteva una differenza sostanziale: mons. Scalabrini riteneva il clero più stabile e più capace di coordinare, tanto da lasciare al clero il compito di dirigere i laici. Bonomelli al contrario, decise che fossero i laici a dirigere il clero. Al tempo, Scalabrini aveva ragione: l’Opera Bonomelliana si ritrovò a dover cessare le proprie attività per l’infiltrazione fascista nel direttorio laico. A questo punto le comunità di italiani in Europa si trovarono smarrite finché gli Scalabriniani non colmarono il vuoto lasciato dai Bonomelliani.

In Europa gli Scalabriniani ereditarono dai Bonomelliani l’impegno sociale (come ad esempio i patronati). È un aspetto importante, poiché in America gli Scalabriniani si erano concentrati sull’assistenza spirituale. Con l’arrivo in Europa poco prima della Seconda Guerra Mondiale e grazie all’eredità acquisita dai Bonomelliani, la congregazione Scalabriniana ha invece avuto l’occasione di sviluppare l’aspetto sociale delle sue missioni, fino a quel punto caratterizzate soprattutto sull’assistenza spirituale.

Nel 1997 Giovanni Battista Scalabrini è stato dichiarato Beato da papa Giovanni Paolo II. Quali sono state le tappe salienti del processo di beatificazione?

Un grande promotore della causa di beatificazione di mons. Scalabrini fu padre Mario Francesconi. Quando fu aperto il caso, fu proprio la concretezza di Scalabrini a risultare un po’ scomoda, per il suo impegno politico nel periodo del non expedit. Per lungo tempo siamo stati bloccati anche dalla richiesta del miracolo, come lo siamo d’altronde ancora oggi per il processo di santificazione. La Chiesa richiede un miracolo. Ma cos’è, in fondo, un miracolo? Non è altro che l’accezione di una cosa inspiegabile in un determinato contesto storico. Si grida al miracolo quando, in un dato momento, la scienza non può spiegare un certo fenomeno. Ciò significa che probabilmente un fenomeno che nel Medioevo fu definito come miracolo, oggi non lo sarebbe, perché la scienza di oggi sarebbe in grado di spiegarlo. A volte mi chiedo se la necessità del miracolo nel processo di santificazione non sia un po’ come voler ingannare Dio. Il miracolo vero è la vita stessa di Scalabrini, la sua intuizione nell’assistenza del migrante, tutto l’aspetto della sua spiritualità.

Per quanto riguarda il presunto miracolo che ha smosso il processo di beatificazione di mons. Scalabrini, si tratta di una suora che ha avuto un tumore e poi è guarita miracolosamente. Stiamo seguendo anche altre guarigioni, vediamo cosa dice la Chiesa per procedere alla santificazione. Preghiamo per dei miracoli per dimostrare che quest’uomo sta intervenendo ancora oggi nella storia.

Intervista a cura di Luca Panarese


Articolo pubblicato sul mensile insieme di maggio-giugno 2022.